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- Il Paese di Vaccarizzo Albanese
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ARBËRESHE 🇦🇱
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VACCARIZZO ALBANESE: CUSTODE DELL’IDENTITÀ ARBËRESHE NARRATA ATTRAVERSO I COSTUMI TRADIZIONALI
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La fondazione di Vaccarizzo Albanese si fa risalire all’arrivo dei profughi albanesi, che giunsero sulle colline della Presila greca in seguito alla morte di Scanderbeg e all’avanzata turca nei Balcani, tra il XV e il XVI secolo. Prima del loro arrivo, nel territorio, facente parte dello Stato del principe di Bisignano, esisteva un piccolo centro rurale. I primi gruppi sarebbero giunti già nel 1470, ma l’insediamento vero e proprio avvenne nel 1509.
Fu feudo dei principi Sanseverino fino al XVII secolo, quando entrò a far parte del feudo di Corigliano, passando nelle mani dei duchi di Saluzzo che ne detennero il possesso fino all’abolizione della feudalità .
Il nome Vaccarizzo potrebbe derivare dal fatto che fosse un luogo di pascolo, ma sarebbe anche legato al sacrificio delle vacche, razziate dalle campagne circostanti, che l’emiro arabo di Palermo Al-Quasim avrebbe effettuato nel 977 proprio in quel luogo. L’area venne denominata perciò Monah al Baqar, ovvero posata delle vacche. Il Il termine ha subito nel tempo varie mutazioni (Beccarizzo, Boccarizzo, Baccarizzo, Baccato, Baccario, Bacharium) fino all’attuale Vaccarizzo, a cui fu aggiunto Albanese nel 1863.
Nei pressi della Fontana Vecchia, un tempo usata anche come abbeveratoio per gli animali, c’è ancora l’antico lavatoio e i ruderi della Cappella di San Nicola risalente al XIII secolo. Sarebbe proprio questa la zona del primo insediamento albanese.
Della Cappella rimane solo una piccola nicchia, all’interno della quale vi era un’immagine, ormai completamente sbiadita.
Inizialmente, le abitazioni erano costituite da semplici capanne di legno e frasche, così che potessero essere date alle fiamme in vista dei controlli fiscali ed evitare perciò il pagamento delle tasse.
In origine, gli abitanti dell’odierna Vaccarizzo e di San Cosmo Albanese formavano un unico villaggio. I due gruppi si separarono nel 1509 dando vita a due casali distinti.
Le prime case in muratura comparvero solo in seguito, nella zona detta Chiesa Nuova, in cui sorse la Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli.
Sulla piazza principale del paese affacciano due chiese, una bizantina e una latina.
La Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, bizantina, risale al 1669. Inizialmente dotata di tre navate e tre porte, dopo l’ultimo restauro della fine del XIX secolo oggi si presenta a navata unica, con una sola porta d’ingresso. Da ammirare l’affresco del catino absidale raffigurante la Madonna di Costantinopoli, realizzato nel 1954 dal maestro Altomare e un’icona del Cristo Pantocrator, realizzata dal maestro Josif Droboniku, sul soffitto a cassettoni. La chiesa non è dotata di iconostasi, per cui è pienamente visibile l’altare di forma quadrata sormontato da un ciborio, tipico delle chiese bizantine. A sostituire in qualche modo l’iconostasi vi sono 4 icone poste davanti all’altare.
Adiacente e comunicante con la Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli è la Chiesa della Madonna del Rosario, di rito latino, risalente allo stesso periodo. Attualmente non più adibita al culto, era sede di una Confraternita laicale del Rosario. Presenta un bel portale in pietra con al centro un bassorilievo raffigurante la Vergine e al suo interno si conservano alcune statue e busti lignei di scuola napoletana databili tra il XVII e il XIX secolo.
In una delle piazzette del paese, è possibile ammirare l’Albero dei Frammenti (o degli Emigranti), un’opera d’arte contemporanea in ferro battuto realizzata dall’artista Cosmo Orofino. Rappresenta un ulivo spoglio, perché mentre le radici sono piantate ben salde nel paese, i frutti (i suoi figli emigrati) sono altrove.
Una figura di rilievo di questa comunità fu sicuramente quella di Pasquale Scura. Nato e Vaccarizzo e formatosi nel Collegio italo-albanese di S. Demetrio Corone, svolse per lungo tempo la carriera di magistrato. Fu vittima della persecuzione borbonica per i suoi ideali e dopo la vittoria dei Mille venne nominato da Garibaldi Ministro di Grazia e Giustizia nel governo provvisorio. Fu lui a dettare la formula del Plebiscito di Annessione del Regno di Napoli al Regno d’Italia: “Il Popolo vuole l’Italia Una e Indivisibile”. Tra le altre cose, si prodigò affinché venisse stanziata una somma per il Collegio di S. Adriano, che il re Ferdinando II aveva punito per il coinvolgimento nei moti calabresi del 1848 e destinò parte dei beni confiscati ai Borboni al fondo di risarcimento per le vittime della persecuzione politica. In sua memoria, nel 1911, è stata apposta una lapide commemorativa sulla facciata di Palazzo Cumano.
Altri personaggi illustri di Vaccarizzo furono poi Salvatore Cumano, che con le sue idee rivoluzionarie si ribellò ai Borboni e fu perciò ucciso. Nel Palazzo in cui visse e fu poi pugnalato ha oggi sede il Museo del Costume e degli Ori Arbëreshë.
I garibaldini Nicolino Braiotta e Antonio Dramis;
Aloisio Elmo, erario del duca di Corigliano, che istituì a Vaccarizzo il Pio Monte Laicale, un fondo per fornire una dote alle ragazze povere del paese.
Molti studiosi, come Vittorio Elmo, storico, che scrisse una serie di opere dedicate alla storia e ai diritti della minoranza arbëreshe.
Vincenzo Librandi, linguista, autore della Grammatica Albanese con poesie rare del Variboba; Antonio Scura, maestro elementare, insegnante e vice rettore del Collegio di S. Adriano, poeta, scrittore, pittore, fotografo e cultore delle tradizioni albanesi, autore de Gli Albanesi d’Italia e i loro canti tradizionali.
E ancora Giorgio Marano, maestro elementare, sindaco di Vaccarizzo per 15 anni e studioso della lingua, della storia e delle tradizioni del suo paese. La sua ultima opera è Vaccarizzo Albanese comunità albanofona della provincia di Cosenza (dalle origini ai nostri giorni).
Qui è anche la casa natale di Giuseppe Faraco, nato a Vaccarizzo nel 1937 e parroco di S. Demetrio Corone, che fu un grande promotore della cultura arbëreshe. Fu, infatti, fondatore della prestigiosa rivista culturale “Zjarri” (Il Fuoco), in seguito affiancata dalla pubblicazione dei “Quaderni di Zjarri”, che ricoprirono un ruolo decisivo per la divulgazione della storia, della letteratura e della cultura arbëreshe.
Per le vie di Vaccarizzo si possono ammirare una serie di palazzotti signorili; oltre a Palazzo Cumano, troviamo Palazzo Benincasa, Palazzo Tocci Bannera e altri.
Alcuni di questi avevano una particolarità : erano affiancati da case con scala esterna, le cosiddette case terrana, che ospitavano le famiglie alle dipendenze dei signori. Si trattava di modeste case costituite da un’unica stanza a pian terreno, o da una stanza sopraelevata cui si accedeva appunto tramite una scala esterna.
Il paese ha forma quasi circolare con una parte alta, “Rahji”, sulla sommità di una collinetta, un prolungamento verso la zona di San Nicola ed una zona bassa “Hjima”.
Come in tutti in paesi arbëreshë, anche a Vaccarizzo Albanese è possibile ritrovare le caratteristiche Gjitonie, un termine ricco di significati che sta ad indicare anche il particolare tipo di rapporto che si instaurava con le persone del vicinato e l’area urbana che si veniva a creare data la particolare disposizione delle case. Una zona comune, uno spiazzo, verso il quale sono rivolte le porte di 4 o 5 case, in cui ci si ritrovava per chiacchierare e passare del tempo assieme portando avanti vari lavori artigianali. Un luogo dell’anima, in cui tutti i membri delle famiglie vicine erano legati da rapporti di affetto e solidarietà , come in una grande famiglia allargata.
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VACCARIZZO ALBANESE: GUARDIAN OF THE ARBĂ‹RESHE IDENTITY NARRATED THROUGH TRADITIONAL DRESSES
The foundation of Vaccarizzo Albanese can be traced back to the arrival of Albanian refugees, who arrived on the hills of the Greek Presila following the death of Scanderbeg and the Turkish advance in the Balkans, between the 15th and 16th centuries. Before their arrival, a small rural center existed in the territory, which was part of the State of the Prince of Bisignano. The first groups arrived as early as 1470, but the actual settlement took place in 1509.
It was a fiefdom of the Sanseverino princes until the 17th century, when it became part of the fiefdom of Corigliano, passing into the hands of the dukes of Saluzzo who held possession of it until the abolition of feudalism.
The name Vaccarizzo could derive from the fact that it was a grazing place, but it would also be linked to the sacrifice of cows, raided from the surrounding countryside, which the Arab emir of Palermo Al-Quasim carried out in 977 in that very place. The area was therefore called Monah al Baqar, meaning cow settlement. The term has undergone various mutations over time (Beccarizzo, Boccarizzo, Baccarizzo, Baccato, Baccario, Bacharium) up to the current Vaccarizzo, to which Albanese was added in 1863.
Near the Fontana Vecchia, once also used as a watering hole for animals, there is still the ancient wash house and the ruins of the Chapel of San Nicola dating back to the 13th century. This would be precisely the area of the first Albanian settlement.
Only a small niche remains of the chapel, inside which there was an image, now completely faded.
Initially, the homes consisted of simple wooden huts and branches, so that they could be set on fire in preparation for tax inspections and therefore avoid paying taxes.
Originally, the inhabitants of today’s Vaccarizzo and San Cosmo Albanese formed a single village. The two groups separated in 1509, giving rise to two distinct hamlets.
The first masonry houses appeared only later, in the area called Chiesa Nuova, where the Church of Santa Maria di Costantinopoli was built.
Two churches overlook the main square of the town, one Byzantine and one Latin.
The Byzantine Church of Santa Maria di Costantinopoli dates back to 1669. Initially equipped with three naves and three doors, after the last restoration at the end of the 19th century it now has a single nave, with a single entrance door. To admire the fresco in the apse basin depicting the Madonna of Constantinople, created in 1954 by the master Altomare and an icon of Christ Pantocrator, created by the master Josif Droboniku, on the coffered ceiling. The church does not have an iconostasis, so the square-shaped altar surmounted by a tabernacle, typical of Byzantine churches, is fully visible. To some extent replace the iconostasis there are 4 icons placed in front of the altar.
Adjacent and communicating with the Church of Santa Maria di Costantinopoli is the Church of the Madonna del Rosario, of the Latin rite, dating back to the same period. Currently no longer used for worship, it was the seat of a lay Confraternity of the Rosary. It has a beautiful stone portal with a bas-relief depicting the Virgin in the center and inside there are some wooden statues and busts of the Neapolitan school dating back to the 17th and 19th centuries.
In one of the town’s small squares, it is possible to admire the Tree of Fragments (or of the Emigrants), a contemporary work of art in wrought iron created by the artist Cosmo Orofino. It represents a bare olive tree, because while the roots are firmly planted in the country, the fruits (its emigrant children) are elsewhere.
An important figure of this community was certainly that of Pasquale Scura. Born in Vaccarizzo and educated in the Italian-Albanian College of S. Demetrio Corone, he pursued a career as a magistrate for a long time. He was a victim of Bourbon persecution for his ideals and after the victory of the Thousands he was appointed Minister of Grace and Justice in the provisional government by Garibaldi. It was he who dictated the formula of the Plebiscite for the Annexation of the Kingdom of Naples to the Kingdom of Italy: “The People want Italy One and Indivisible”. Among other things, he did his utmost to ensure that a sum was allocated for the College of S. Adriano, which King Ferdinand II had punished for its involvement in the Calabrian uprisings of 1848 and allocated part of the assets confiscated from the Bourbons to the compensation fund for the victims of political persecution. In memory of him, in 1911, a commemorative plaque was placed on the facade of Palazzo Cumano.
Other illustrious figures from Vaccarizzo were Salvatore Cumano, who with his revolutionary ideas rebelled against the Bourbons and was therefore killed. The Palace in which he lived and was then stabbed now houses the Museum of Costume and Gold arbëreshë.
Garibaldi’s Nicolino Braiotta and Antonio Dramis;
Aloisio Elmo, treasury of the Duke of Corigliano, who established the Pio Monte Laicale in Vaccarizzo, a fund to provide a dowry to the poor girls of the town.
Many scholars, such as Vittorio Elmo, historian, who wrote a series of works dedicated to the history and rights of the Arbëreshe minority.
Vincenzo Librandi, linguist, author of the Albanian Grammar with rare poems by Variboba; Antonio Scura, primary school teacher, teacher and vice-rector of the College of S. Adriano, poet, writer, painter, photographer and lover of Albanian traditions, author of Gli Albanesi d’Italia and their traditional songs.
And again Giorgio Marano, primary school teacher, mayor of Vaccarizzo for 15 years and scholar of the language, history and traditions of his town. His latest work is Vaccarizzo Albanese, an Albanian-speaking community in the province of Cosenza (from its origins to the present day).
Here is also the birthplace of Giuseppe Faraco, born in Vaccarizzo in 1937 and parish priest of S. Demetrio Corone, who was a great promoter of the ArbĂ«reshe culture. He was, in fact, the founder of the prestigious cultural magazine “Zjarri” (The Fire), later accompanied by the publication of the “Quaderni di Zjarri”, which played a decisive role in the dissemination of ArbĂ«reshe history, literature and culture.
In the streets of Vaccarizzo you can admire a series of elegant buildings; in addition to Palazzo Cumano, we find Palazzo Benincasa, Palazzo Tocci Bannera and others.
Some of these had a particularity: they were flanked by houses with external staircases, the so-called terrana houses, which housed the families employed by the lords. These were modest houses consisting of a single room on the ground floor, or an elevated room which was accessed via an external staircase.
The town has an almost circular shape with an upper part, “Rahji”, on the top of a hill, an extension towards the San Nicola area and a lower “Hjima” area.
As in all Arbëreshë villages, also in Vaccarizzo Albanese it is possible to find the characteristic Gjitonie, a term rich in meanings which also indicates the particular type of relationship that was established with the people of the neighborhood and the urban area that one came to create given the particular layout of the houses. A common area, a clearing, towards which the doors of 4 or 5 houses face, where we met to chat and spend time together carrying out various craft jobs. A place of the soul, where all the members of the neighboring families were linked by relationships of affection and solidarity, as in a large extended family.
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ARBËRESHE 🇦🇱
VAKARICI: MBAN E RRĂ‹FYEN IDENTITETIN ARBERESH NDĂ‹R STOLIT.
Lehia e Vakaricit bën e hipet tekë ardhja e arbëreshëvet çë erdhëtin mbi bregut e Presil-es greqishtë pas vdiqa e Skanderbegut e shprishja e turkëvet ndër Ballkanët, ndër shekulli XV e shekulli XVI. Mënjëhere se të vijin arbëreshët këtu, çë ish pjesë e dheut e Pringjipit e Bisinjanit, rronij një katund i viker. Të parët shqipëtarë erdhëtin tekë viti 1470, ende vun rrënjë vetëm tekë viti 1509.
Vakarici ka qenur dheu e Pringjipit Sanseverit njerim skekulit XVII, kur u be dhe e Korilianit, pse shkoj te duart e Dukut Saluzzo çë e mbajtin njerim kur nxuartin feudat.
Afër Kroj Pjak, ku një herë vejin të pijin animallët, është edhe sot një vend ku lajin e aton çë qëndron e Kapeles e Shën Kolit e shekullit XIII. Mënd jetë se është vërtet ki lloku ku vun rrënjët për të parën herë arbëreshët. Qëndron e Kapeles vet një llok i vogel, mbrënda kuj gjëndej një ikonë e zbardhur.
Mënjëhere, shëpit ishin palerja bënur me dru e shkarpa, ashtu mënd ishin të djegura kur ishin kontrollet fiskale për të mos paguajin. Tekë i pari mot, Vakarici e Shën Kosmi, ishin vëtem një katund. Këta di u ndajtin tekë viti 1509 e u bën di katunde. Pra, të parët shëpi stisura u lenë, tekë lloku i thenur Qisha e Re, ku pra u bë Qisha e Shën Meris e Kostantinopollit.
Tekë qaca e katundit gjënden di qisha, njera bizantin e jetëra lëtire. Qisha e Shën Mëris e Kostantinopollit, bizantine, është e vitit 1669. Mënjëhere kish tri navata e tri dera, nese i lurtëmi ndrequri tekë fundi e XIX shekullit, sot ka vetëm një navatë, me vetëm një derë. Shumë bukur opera çë figuron Shën Merin e Kostantinopolit, e bënur nga mjeshtëri Josif Droboniku, mbi qellëzaja. Qisha nëng ka ikonostaza, për këtë mënd shihet autari me furmë kuadhrat përsipër kuj gjëndent një çiborj, tipike e qishëvet bizantine. Tekë lloku e ikonostazit janë katër ikona përpara autarit.
Afër Qishes e Shën Meris e Kostantinopolit gjëndet Qisha e Shën Mëris e Rozarit, me ritin lëtirë, e bënur edhe ndër ata vitra. Sot jo më vend ku parkaleset, ka qenë vend e një Vëllazim laike e Rozarit. Ka një derë guri e bukur me ndë mest një skulture dalur jashtë çë burton Virgjëra e mbrënda kësaj qish gjënden edhe një statue e buste druri e shkolles napullitane e shekulëvet XVII e XIX.
Tekë njera qace e katundit mënd shihet Arvuri e Copavet (o e Emigrandit), një oper hekuri e benur nga mjeshtëri Cosmo Orofino. Burton një arvurë ulliri pa fjeta, pse ndërsa rrënjat janë ndën dheut lidhur të fort me katundin, pëmët (të bilët emigrandët) janë tekë njetër vend.
Një personaxh rëndsishëme e katundit ka qenë Pasquale Scura, i lerë Vakaric e i bënur tekë Kolexhi arbëresh i Shën Mitërit, çë për shumë mot ka qenë maxhistrat. Ai ka qenë i përzuar ka Borbonërat për idheallet të tij e nese fitores e Millëvet ai qe i ëmëruar nga Garibaldi Minister Hjersisë e Drejtërië te guverni. Ka qenë ai çë shkruajti të folurin për Plebishitën e Anesiones e Rregjëris e Napulit Rregjit e Italis: “Il Popolo vuole l’Italia Una e Indivisibile”. Ndër tjerët shurbesa, bëri shumë për të jipjin një ca turresë për kolexhin e Shën Adrianit, çë Rregji Ferdinandi II kish ngarë për pjesëmarrjen tekë tundja luftarë kalabrisë tekë viti 1848 e dha pjesë të miravet çë i nxuartin Borbonët atirëve gjindja të ndjekura. Për kujtimin të tij, tekë viti 1911, vun një gur pët kujdesën tekë faqa e Pëllacit Cumano.
Gjindja më rëndishëm e Vakaricit kanë qenë: Salvatore Cumano, çë ngrëjti krien Borbonavet me idheat rivolucionaria e për këton ka qenë i vrar. Tekë Pëllaci ku rrijin e tekë cili ka qenë i vrar sot gjëndet Muzeu e Kostumit (stolit) e Arët arbereshë. Garibaldinat Nicolino Braiota e Antonio Dramis. Aloisio Elmo, çë mbanij turresët shoqërore e Dukit e Korilanit, çë bëri Vakaric “I Miri Monte Laikale”, për vashëzat të shkretat e katundit.
Shumë mjeshtëra, si Vittorio Elmo, storik, çë shkruajti shumë opera mbi stories e të drejta katundëvet arbereshë.
Vincenzo Librandi, gjuhtar, autor e “Grammatica Albanese con poesie rare del Variboba”. Antonio Scura, mjeshtër fillore, profësur e viçe Drejtor e Kolexhit e Shën Adrianit, vjershtar, shkrimtar, piktor, fotograf e dashurimtar e tradicionat shqipëtarë, autor e “Gli Albanesi d’Italia e i loro canti tradizionali”.
Edhe Giorgio Marano, mjeshtër fillore, krietar e Vakaricit për 15 vjet e studios e gjuhës, stories e tradicionet e katundit.
Lurtëmja oper e tij është “Vaccarizzo Albanese comunità albanofona della provincia di Cosenza (dalle origini ai nostri giorni)”.
Këtu gjëndet edhe shëpia ku u le Giuseppe Feraco, i lerë Vakaric tekë viti 1937 e Zot e Shën Mitrit, çë ka qenë një dashurimtar shumë i madh e kulltures arbëreshe. Ka qënë, për këtë, ai çë ka krijuar një rrivistë kullturore me ëmërin “Zjarri”, bashkë “Quaderni di Zjarrit”, shumë rëndsishëmtë për sheshëruari e stories, letërsisë e kullturës arbëreshe.
Ndër udhat e Vakaricit mënd shihen një ca pëllace zotërime, mbatanë Pëllaci Cumano, gjëndet Pëllaci Benincasa, Pëllaci Tocci Bannera e njetër ca.
Ndëpak ndër këta kishin afër shëpi me një shkallë jashtë, shëpit cili emëri ish “shtëpi terrana”, mbrënda cilat rrijin familet çë shurbejin për zotërat e zonjavet e katundit. Ishin shtëpi të vogëla çë kishin vetëm një dhomë tekë katoqi, o me një dhome më e lart ku mund hihej për një shkallë jashtë.
Katundi ka një dukje afër një qerthull me një pjesë e lartë, “Rahji”, mbi një breg i vogël, një pjesë çë ngjatet ka Shën Kolli edhe një vend poshtë, “Hjima”.
Si ndër gjithë katundet arbëreshë, edhe Vakaric mënd gjënden Gjitonit, një fjalë me shumë ndëmethënie. Një lloqe ku lidjen pjesa e shëpivet me jeten e gjindjavet. Gjitonia është një vend ku shëpit janë të stisura tundu një shesh, me 4 o 5 shëpi afër një shesh, e ku gjindjat bashkëndajin e shkojin motin tue folur e tue shurbier. Vendi e shpirtit ku gjithë fëmilët afër ishin të lidhura me dashuri e si një fëmilë më e madhe.
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