Museo Virtuale ARBËRESH

Da alcuni ritrovamenti si può supporre che il territorio fosse abitato già in epoche remote e fonti storiche risalenti alla fine del III sec a. C. parlano del casale di Mons Crasanus.
Nel XII secolo il casale esisteva con varie denominazioni. Nel 1283, le fonti ci dicono che era di proprietà di Rostain de Agot, passando successivamente ai Sanseverino, i quali nel 1459 cedettero la giurisdizione civile al Vescovo di S. Marco.  Scopri di più.

CENTRO ICONOGRAFICO ARBËRESH – MOSTRA PERMANENTE DELLE TRADIZIONI E DELLA CULTURA ARBËRESHE

Il Centro Iconografico Arbëresh ha sede all’interno del Palazzo Miceli, antica dimora baronale del casale di Serra di Leo, costruita nel 1750.
La parte più importante del Centro consiste nella Mostra permanente delle tradizioni e della cultura arbëreshe.
Questa esposizione è stata curata nel 2008 dal Prof. Antonio Gattabria, etno-musicologo e iconografo, mentre il riallestimento successivo è a cura di Oscar Stancati e nasce dalla collaborazione tra il comune di Mongrassano, l’Associazione culturale “Bashkim Kulturor Arbëresh” di Spezzano Albanese e lo sportello linguistico comunale.
All’interno del Palazzo Miceli, oltre alla Mostra, trovano posto anche la biblioteca comunale, lo sportello linguistico e la sala consiliare. Quest’ultima è dedicata a Giuseppe Tavolaro (1897-1985), ed è possibile ammirare una selezione delle sue fotografie più significative, che ritraggono scorci del paese e momenti della vita quotidiana. È proprio a Giuseppe Tavolaro che si deve la maggior parte del patrimonio fotografico della Mostra.
In ogni sala è riprodotta l’ambientazione di uno specifico ambiente, attraverso oggetti e documenti fotografici. Ogni oggetto esposto è accompagnato da una didascalia esplicativa redatta in italiano, arberësh, dialetto calabrese e inglese.
 
Il piano terra è dedicato alla cultura materiale ed offre un’immersione completa nella vita quotidiana del passato.
Nella camera da letto dell’epoca ritroviamo il materasso rudimentale, riempito di paglia o foglie di mais, accanto al baule che custodiva il corredo e altri oggetti per la cura personale.
Il magazzino, chiamato katoqi, espone una vasta gamma di ceste di vario tipo e misura, utilizzate per il trasporto di ortaggi e viveri a dorso di mulo, insieme alle varie misure agricole.
La cucina è ricca di suppellettili utili per la preparazione e la conservazione dei cibi.
La sezione dell’artigianato tessile presenta un antico telaio insieme a vari attrezzi, filati e stoffe.
Passando poi all’attività agro-pastorale, si trovano innumerevoli oggetti, alcuni dei quali testimoniano l’ingegno e la creatività del tempo, come lo stropë, un semplice ramo di legno diviso in due lungo la sua lunghezza, utilizzato dal datore di lavoro per segnare ogni giornata lavorativa con una tacca.
 
Il primo piano è invece riservato alle tradizioni, che riguardano sia il ciclo dell’anno che il ciclo dell’uomo.
Si parte dalla sala degli abiti, in cui sono esposti esemplari di abiti da promessa e da matrimonio e una riproduzione dell’abito maschile.
Ricordiamo che a Mongrassano fu fondato uno dei primi gruppi folkloristici arbëreshë, alla fine degli anni ’50. Luigi Iaccino fu uno dei fondatori e promotori.
Oggetti e materiale fotografico evocano i riti legati alle festività natalizie, alla Commemorazione dei defunti e al Carnevale, una celebrazione particolarmente sentita a Mongrassano. Durante la notte del martedì grasso, si svolge il funerale del Carnevale, caratterizzato da un satirico corteo funebre che accompagna il fantoccio fino alla sua bruciatura in piazza.

La sezione successiva è dedicata ai riti della Quaresima, della Settimana Santa e di Pasqua. Uno dei riti che caratterizza la comunità di Mongrassano è la realizzazione della parma, detta anche kalimera, in occasione della Domenica delle Palme. Si tratta di una struttura di rami d’ulivo e canne, decorata con carta velina colorata, sulla quale vengono appesi doni e dolci tipici come i ginetti, i mastazzuoli e i cuddacciaddi. La parma viene portata in chiesa per la benedizione e successivamente donata ai bambini. È tradizione che sia la madrina a donare la parma al proprio figlioccio.
A tal proposito, uno dei riti che si tramandano è quello della motërma, ovvero il “commaraggio”, celebrato il 24 giugno in occasione della festività di San Giovanni. Durante questo rito, le ragazze si recavano presso la cappella di Santa Maria delle Grazie e battezzavano un fantoccio vestito da neonato e confezionato con erbe e fiori, chiamato Papuacciulu. Questo gesto le consacrava come commari, ndrikulla, stabilendo un legame affettivo molto significativo che avrebbero confermato nuovamente una volta diventate madri.
 
Passando ai riti che scandiscono il ciclo della vita, l’esposizione inizia con gli oggetti legati alla nascita e all’infanzia: dai giocattoli agli amuleti utilizzati per tenere lontane le influenze negative. Tra questi, troviamo la guleta, conosciuta anche come abitinu in dialetto calabrese, contenente diversi oggetti come il sale e un’immagine sacra. Altri oggetti come il ferro di cavallo e la chiave di ferro venivano posti tra le fasce del neonato, specialmente quando ancora non era stato battezzato e doveva essere portato fuori casa di notte.
Viene poi fornita una dettagliata spiegazione, accompagnata da illustrazioni, dei giochi di una volta. Tra questi troviamo la fune, il cerchio, la trottola, l’altalena, l’aquilone, la fionda, il gioco delle pietre e dei tappi. Il gioco degli stacci, ovvero rudimentali bocce realizzate smussando dei mattoni in cotto e ancora la konolla, un pezzo di spago annodato a cerchio che veniva intrecciato tra le dita di due mani fino a formare figure particolari, tra cui appunto la konolla, ossia la culla e tante altre attività ludiche.

In un’altra sala, infine, è esposto materiale fotografico relativo alle festività pasquali e mariane di altri paesi arbëreshë, quali Lungro, Vaccarizzo e Spezzano Albanese.