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- Il Paese di San Demetrio Corone
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SAN DEMETRIO CORONE: UN VIAGGIO ATTRAVERSO LA SUA RICCA EREDITÀ CULTURALE
San Demetrio Corone vanta antiche origini: si ha notizia di un piccolo borgo rurale citato con il nome di Situ Sancti Dimitri, dove nel 955 San Nilo da Rossano fondò quella che sarebbe presto diventata l’Abbazia basiliana di Sant’Adriano. Il Monastero basiliano, di rito greco, fu soppiantato in seguito da un Monastero benedettino, donato nell’XI secolo dai normanni alla Badia di Cava dei Tirreni.
Gli albanesi giunsero in queste terre in due ondate: i primi gruppi già intorno al 1470, poi nel 1534 arrivarono gli albanesi provenienti dalla città greca di Corone, nel Peloponneso, in seguito alla guerra condotta da Carlo V contro i Turchi. Accolti favorevolmente dal sovrano, si stanziarono in vari luoghi dell’Italia Meridionale, tra cui San Demetrio Corone.
Inizialmente, il centro abitato fu costruito nella parte alta, sulla collina della Murmurica.
A partire dal 1794, il paese fu sede del Collegio Italo-Albanese di S. Adriano, che venne istituito nei locali del soppresso Monastero.
La Chiesa dei Santi Adriano e Natalia faceva parte del complesso monastico di S. Adriano. Nato come cenobio basiliano, fondato da San Nilo nel 955 nel luogo in cui preesisteva una edicola votiva dedicata ai Santi Adriano e Natalia, era inizialmente a pianta quadrata con tre absidi. Successivamente fu esteso a monastero e nel 1088 venne affidato all’abbazia benedettina di Cava dei Tirreni dal duca normanno Ruggero Borsa, passando dal rito greco a quello latino. All’originale impianto bizantino, si sovrapposero quindi elementi stilistici e architettonici romanici. Lo stesso Ruggero Borsa restituì il Monastero ai basiliani nel 1106. Venne poi ricostruito ex novo tra la seconda metà del XII secolo e la prima metà del XIII. Ha subito quindi varie trasformazioni nel corso dei secoli, le ultime risalgono al ‘700, quando venne demolita l’abside originaria, l’edificio fu prolungato, vennero eretti i tre altari in sostituzione dell’altare greco con iconostasi e la cupola barocca.
La chiesa presenta quindi una commistione di stili ed elementi architettonici diversi: arte bizantina, normanna e barocca; sono tanti gli elementi decorativi, alcuni simbolici ed enigmatici, sul cui significato vi sono varie ipotesi interpretative.
È a tre navate, a copertura lignea, separate da sei pilastri reggenti le arcate, sulle quali si possono ancora ammirare gli affreschi del XII e XIII secolo, che sono stati rinvenuti durante gli interventi di restauro novecenteschi, essendo stati coperti nel ‘700 da uno strato di calce.
Lo stile figurativo degli affreschi è tipicamente bizantino. Nei sottarchi troviamo figure di santi, vescovi, monaci e asceti della Chiesa cristiana d’Oriente, che non presentano iscrizioni utili alla loro identificazione, sebbene alcuni siano riconoscibili da elementi caratteristici. Sulle pareti soprastanti le arcate: altri santi, tre sante femminili che portano il nome di Iulitta, Anastasia e Irene e la Presentazione di Maria al Tempio, unica raffigurazione rimasta con contenuti narrativi.
Nelle due nicchie ai fianchi della grande tela che campeggia sull’altare maggiore, raffigurante il martirio di S. Adriano, due busti lignei del 1600 di S. Adriano e Santa Natalia.
Nell’altare a sinistra vi è una tela che raffigura la Madonna con Bambino con San Nilo e San Vito, mentre in quello di destra è raffigurato San Basilio Magno.
I paliotti d’altare sono settecenteschi ed eseguiti con stucco di gesso.
Tra le opere d’arte più significative contenute all’interno di questa chiesa, oltre agli affreschi, vi è sicuramente il pavimento, realizzato in parte in opus sectile (una tecnica artistica che prevede l’accostamento di piccoli pezzi di marmo o pietre, abilmente tagliati, dalle svariate forme e colori), con 4 mosaici, del XII-XIII secolo. I mosaici rappresentano altrettante scene: un leone e un serpente che si contendono una preda, un serpente che si avvolge in tre spire, l’ultima delle quali forma tre nodi, un felino e un serpente che forma un otto.
Poste in fondo alle navate due rare colonne lignee del XII-XIII secolo, tra le più antiche forme di intaglio ligneo in Calabria, che dovevano sorreggere l’antica iconostasi.
Di rilievo i capitelli delle colonne, uno dei due presenta un capitello bizantino, l’altro un capitello corinzio, quindi classico. Sotto l’arcata di sinistra vi sono i resti delle sculture che dovevano costituire il portale originale, tra cui un’acquasantiera, ricavata da un capitello bizantino e un bassorilievo raffigurante un animale indefinito dalla cui bocca fuoriesce una mano che tiene ben salda una catena di anelli.
Il portale principale fu infatti chiuso nel 1856 e rimasero le due porte laterali, una sotto il campanile e l’altra era la cosiddetta Porta dei monaci, perché era utilizzata dai monaci per accedere alla Chiesa.
Curiosi i due mascheroni in pietra ai lati della Porta dei monaci: una figura antropomorfa e una dalle sembianze feline, dalle cui bocche fuoriescono le piante che le circondano, possibile allusione alla capacità rigeneratrice della natura, letta in chiave spirituale. Sopra queste due figure c’è un’incisione in greco antico che recita “Entra nella Grazia, procedendo rettamente (troverai) la Verità”. Un invito, quindi, a lasciare fuori dal luogo sacro le mondane preoccupazioni.
Vicino alla Chiesa vi è la seicentesca Fontana dei Monaci, usata appunto dai monaci.
In questo luogo, la notte di Pasqua, si svolge il particolare rito dell’acqua rubata, che consiste nel recarsi alla fontana a “rubare l’acqua”, mantenendo rigorosamente il silenzio lungo tutto il tragitto, mentre quelli che sono di ritorno cercano in tutti i modi di far rompere agli altri il patto del silenzio. È un rituale di passaggio dalla vita vecchia alla vita nuova, di cui ha trattato ampiamente il Prof Francesco Altimari nel suo contributo L’Acqua Muta, L’Acqua Nuova, l’Acqua Rubata: su alcuni antichi riti “pasquali” in Arbëria e nell’Area Mediterranea.
Il Monastero fu soppresso nel 1794 per decreto del re Ferdinando IV di Borbone e la chiesa fu incorporata nel Collegio Italo-Albanese, centro spirituale e culturale di tutta la Calabria, che incamerò tutti i possedimenti del Monastero.
Il Collegio Corsini era stato fondato in origine a San Benedetto Ullano da papa Clemente XII nel 1732, per volere dei fratelli Rodotà, per la preparazione ecclesiastica dei sacerdoti di rito greco. Nel 1794 fu trasferito a San Demetrio su richiesta del vescovo Francesco Bugliari. Da questo momento in poi, il Collegio perse gradualmente la sua connotazione legata alla formazione puramente religiosa, per assumere caratteri laici ed aprirsi soprattutto verso gli studi umanistici.
In questo luogo di cultura si formarono importanti personalità politiche e grandi letterati del mondo arbëresh e di tutta la Calabria, tra i quali Agesilao Milano, Domenico Mauro, Girolamo De Rada, Costantino Mortati e tanti altri.
Il Collegio è stato un centro di grande importanza per la diffusione di nuove idee patriottiche e progressiste, tanto che Ferdinando II bollò l’istituto come «un covo di vipere» e «una fucina del demonio».
Garibaldi dimostrò la sua riconoscenza agli albanesi che avevano partecipato all’Unità d’Italia donando una somma di 12.000 ducati al Collegio di Sant’Adriano, come testimonia un’epigrafe apposta dal comune agli inizi del Novecento, sulla facciata sud dell’edificio.
Nel 1923 il Collegio venne dapprima posto sotto tutela del Ministero della Pubblica Istruzione, in seguito le scuole divennero statali e vennero scorporate dal Collegio, che assolse la funzione di semplice convitto fino al 1979, quando venne meno l’esigenza di ospitare gli studenti fuorisede del Liceo Classico (istituito da Gioacchino Murat nel 1812).
La Chiesa parrocchiale di San Demetrio Corone è quella di San Demetrio Megalomartire. L’impianto originario risale al XV secolo, quando arrivarono i primi gruppi di albanesi. Ha subito poi successivi ampliamenti nel XVII secolo.
È a tre navate, abbellita da varie icone realizzate dalle iconografe Rita Chiurco e Anna Molinaro, mentre le pareti presentano dipinti di santi della Chiesa bizantina con scene del Nuovo Testamento.
È una delle prime chiese arbëreshë ad avere l’iconostasi e l’altare quadrato, di tipo greco. Le due cappelle della navata laterale destra fanno parte dell’impianto originario, sono quindi le parti più antiche della chiesa.
Nella Cappella di S. Demetrio ritroviamo l’altare in marmo di tipo latino. Nei tondi i vari miracoli compiuti dal santo; da notare il fatto che nella raffigurazione pittorica dei tondi le donne indossano il vestito arbëresh. Sulla porta della cappella vi sono le icone che costituivano l’antica iconostasi.
Nella Cappella di Maria Immacolata l’altare è invece decorato con la tecnica della scagliola fiorentina, in stucco e gesso, e vi è una statua dell’Immacolata di scuola napoletana.
In Piazza Strigari, conosciuta anche come Piazza Rossa, si erge il Palazzo Mauro, casa natale del grande patriota risorgimentale, letterato e giornalista Domenico Mauro (1812-1873), che fu anche deputato del Parlamento italiano.
Qui ha sede il “Centro Studi Risorgimentali Domenico Mauro”, che, oltre a tanti cimeli, conserva la biblioteca e l’archivio Mauro.
Insieme al fratello Raffaele, Domenico prese parte alla spedizione dei Mille di Garibaldi. Mauro è considerato tra i maggiori protagonisti del Risorgimento meridionale. Delle sue opere letterarie ricordiamo il poemetto in versi l’Errico, la monografia dantesca Concetto e forma della Divina Commedia e l’opera Vittorio Emanuele e Mazzini.
Di fronte a Palazzo Mauro, la Chiesa di Sant’Onofrio, oggi chiusa al culto e di proprietà della famiglia Mauro, eredi dei Lopes.
Fondata nel 1737 come ius patronatus dei Lopes, la famiglia nobiliare più importante di S. Demetrio, è stata aperta ai fedeli per tutto il XVIII secolo.
Disseminate in alcuni punti del paese una serie di sculture in legno, a motivi ornamentali orientali, opera dello scultore kosovaro Hevzi Nuhiu.
È importante ricordare anche la figura di Innocenzo Mazziotti (1921-2014), docente di italiano e latino nel Liceo Ginnasio del paese, preside e autore di un’importante opera sulla storia di San Demetrio Corone, Immigrazioni albanesi in Calabria nel XV e la colonia di San Demetrio Corone (1471-1815). Fu anche sottotenente del Regio Esercito e deportato nei lager nazisti. Sulla facciata della sua casa natale l’amministrazione ha posto una lapide commemorativa.
La vicina frazione di Macchia Albanese è conosciuta soprattutto per essere la patria del grande letterato Girolamo De Rada (1814-1903).
Intellettuale di grande impegno politico, è considerato l’ispiratore del movimento risorgimentale politico e letterario albanese. Con le sue opere ha contribuito in maniera decisiva sulla formazione di una coscienza identitaria, sia tra gli albanesi d’Italia che tra gli albanesi dei Balcani, richiamando anche l’attenzione politica su questa Nazione, ed è considerato l’iniziatore della moderna letteratura nazionale albanese.
Tra le sue opere, ricordiamo il poema lirico I Canti del Milosao, I Canti di Serafina Tophia, un’importante raccolta di canti popolari italo-albanesi, Rapsodie di un poema albanese e un poema che rievoca la figura dell’eroe Scanderbeg, Scanderbeg lo sventurato.
A Napoli, fondò nel 1848 il giornale “L’Albanese d’Italia”, il primo periodico in lingua albanese. L’anno successivo fu istituita la prima cattedra di lingua albanese nel Collegio di Sant’Adriano, a lui affidata. L’incarico gli verrà poi revocato tre anni dopo dalle autorità borboniche, per i suoi trascorsi liberali.
Altri personaggi importanti di Macchia furono Giuseppe De Rada, figlio di Girolamo, autore di una grammatica della lingua albanese; Michele Marchianò, cultore di albanologia e interprete delle opere del De Rada; Francesco Avati, umanista, docente universitario e primo raccoglitore del patrimonio poetico degli Albanesi d’Italia.
La Chiesa parrocchiale è intitolata a Santa Maria di Costantinopoli e conserva le spoglie di Girolamo De Rada e del figlioletto Michelangelo e un’epigrafe in lingua arbëreshe.
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SAN DEMETRIO CORONE: A JOURNEY THROUGH ITS RICH CULTURAL HERITAGE
San Demetrio Corone boasts ancient origins: we know about a small rural village cited with the name of Situ Sancti Dimitri, where in 955 San Nilo da Rossano founded what would soon become the Basilian Abbey of Sant’Adriano. The Basilian Monastery, of Greek rite, was later supplanted by a Benedictine Monastery, donated in the 11th century by the Normans to the Badia of Cava dei Tirreni.
The Albanians arrived in these lands in two waves: the first groups already around 1470, then in 1534 the Albanians arrived from the Greek city of Corone, in the Peloponnese, following the war led by Charles V against the Turks. Welcomed favorably by the sovereign, they settled in various places in Southern Italy, including San Demetrio Corone.
Initially, the town was built in the upper part, on the Murmurica hill.
Starting from 1794, the town was home to the Italian-Albanian College of S. Adriano, which was established in the premises of the suppressed Monastery.
The Church of Saints Adriano and Natalia was part of the monastic complex of San Adriano. Born as a Basilian monastery, founded by San Nilo in 955 in the place where there was a votive aedicule dedicated to Saints Adriano and Natalia, it was initially square in plan with three apses. It was subsequently extended into a monastery and in 1088 it was entrusted to the Benedictine abbey of Cava dei Tirreni by the Norman duke Ruggero Borsa, passing from the Greek to the Latin rite. Romanesque stylistic and architectural elements were therefore superimposed on the original Byzantine structure. Ruggero Borsa himself returned the Monastery to the Basilians in 1106. It was then rebuilt from scratch between the second half of the 12th century and the first half of the 13th. It has therefore undergone various transformations over the centuries, the latest dating back to the 18th century, when the original apse was demolished, the building was extended, the three altars were erected to replace the Greek altar with iconostasis and the baroque dome.
The church therefore presents a mix of different architectural styles and elements: Byzantine, Norman and Baroque art; there are many decorative elements, some symbolic and enigmatic, on the meaning of which there are various interpretative hypotheses.
It has three naves, with a wooden roof, separated by six pillars holding the arches, on which you can still admire the 12th and 13th century frescoes, which were discovered during the 20th century restoration works, having been covered in the 18th century by a layer of lime.
The figurative style of the frescoes is typically Byzantine. In the subarches we find figures of saints, bishops, monks and ascetics of the Eastern Christian Church, which do not have inscriptions useful for their identification, although some are recognizable by characteristic elements. On the walls above the arches: other saints, three female saints named Iulitta, Anastasia and Irene and the Presentation of Mary in the Temple, the only remaining representation with narrative content.
In the two niches at the sides of the large canvas that stands out on the main altar, depicting the martyrdom of St. Hadrian, two wooden busts from the 1600s of S. Adriano and S. Natalia.
In the altar on the left there is a canvas depicting the Madonna and Child with San Nilo and San Vito, while in the one on the right San Basilio Magno is depicted.
The altar frontals are eighteenth-century and made with plaster stucco.
Among the most significant works of art contained within this church, in addition to the frescoes, there is certainly the floor, partly made in opus sectile (an artistic technique which involves the juxtaposition of small pieces of marble or stones, skillfully cut, with various shapes and colours), with 4 mosaics, from the 12th-13th century. The mosaics represent as many scenes: a lion and a snake competing for prey, a snake coiling itself in three coils, the last of which forms three knots, a feline and a snake forming a figure eight.
Located at the end of the naves are two rare wooden columns from the 12th-13th century, among the oldest forms of wooden carving in Calabria, which must have supported the ancient iconostasis.
The capitals of the columns are noteworthy, one of the two has a Byzantine capital, the other a Corinthian capital, therefore classical. Under the left arch there are the remains of the sculptures that must have constituted the original portal, including a stoup, obtained from a Byzantine capital and a bas-relief depicting an undefined animal from whose mouth emerges a hand holding firmly a chain of rings.
The main portal was in fact closed in 1856 and the two side doors remained, one under the bell tower and the other was the so-called Monks’ Gate, because it was used by the monks to access the Church.
The two stone masks on the sides of the Monks’ Gate are curious: an anthropomorphic figure and one with a feline appearance, from whose mouths the plants surrounding them emerge, a possible allusion to the regenerative capacity of nature, read in a spiritual key. Above these two figures there is an engraving in ancient Greek that reads “Enter Grace, proceeding rightly (you will find) the Truth”. An invitation, therefore, to leave worldly worries outside the sacred place.
Near the Church there is the seventeenth-century Fontana dei Monaci, used by the monks.
In this place, on Easter night, the particular ritual of the stolen water takes place, which consists of going to the fountain to “steal the water”, strictly maintaining silence along the entire journey, while those who are returning search in all the ways to make others break the pact of silence. It is a ritual of passage from the old life to the new life, which Prof Francesco Altimari has discussed extensively in his contribution The Muted Water, The New Water, The Stolen Water: on some ancient “Easter rites in Arbëria and in the Mediterranean Area”.
The Monastery was suppressed in 1794 by decree of King Ferdinand IV of Bourbon and the church was incorporated into the Italian-Albanian College, the spiritual and cultural center of all of Calabria, which confiscated all the possessions of the Monastery.
The Corsini College was originally founded in San Benedetto Ullano by Pope Clement XII in 1732, at the behest of the Rodotà brothers, for the ecclesiastical preparation of Greek rite priests. In 1794 it was transferred to San Demetrio at the request of bishop Francesco Bugliari. From this moment on, the College gradually lost its connotation linked to purely religious education, to take on secular characteristics and open up above all towards humanistic studies.
In this place of culture important political personalities and great men of letters from the Arbëresh world and from all of Calabria were formed, including Agesilao Milano, Domenico Mauro, Girolamo De Rada, Costantino Mortati and many others.
The College was a center of great importance for the diffusion of new patriotic and progressive ideas, so much so that Ferdinand II branded the institute as “a den of vipers” and “a forge of the devil”.
Garibaldi demonstrated his gratitude to the Albanians who had participated in the Unification of Italy by donating a sum of 12,000 ducats to the College of Sant’Adriano, as evidenced by an epigraph placed by the municipality at the beginning of the twentieth century, on the south facade of the building.
In 1923 the College was first placed under the tutelage of the Ministry of Public Education, subsequently the schools became state-owned and were separated from the College, which performed the function of a simple boarding school until 1979, when the need to host the students away from home of the Classical High School (established by Gioacchino Murat in 1812) was no longer needed.
The parish church of San Demetrio Corone is that of San Demetrio Megalomartire. The original layout dates back to the 15th century, when the first groups of Albanians arrived. It then underwent subsequent expansions in the 17th century.
It has three naves, embellished with various icons created by the iconographers Rita Chiurco and Anna Molinaro, while the walls feature paintings of saints of the Byzantine Church with scenes from the New Testament.
It is one of the first Arbëreshë churches to have the iconostasis and the square altar, of Greek type. The two chapels in the right-side nave are part of the original structure and are therefore the oldest parts of the church.
In the Chapel of S. Demetrio, we find the Latin-type marble altar. In the tondos the various miracles performed by the saint; note the fact that in the pictorial representation of the tondos the women wear the arbëresh dress. On the door of the chapel there are the icons that made up the ancient iconostasis.
In the Chapel of Mary Immaculate the altar is decorated with the Florentine scagliola technique, in stucco and plaster, and there is a statue of the Immaculate of the Neapolitan school.
In Piazza Strigari, also known as Red Square, stands Palazzo Mauro, the birthplace of the great Risorgimento patriot, man of letters and journalist Domenico Mauro (1812-1873), who was also a member of the Italian Parliament.
The “Domenico Mauro Risorgimental Studies Center” is located here, which, in addition to many relics, preserves the Mauro library and archive.
Together with his brother Raffaele, Domenico took part in Garibaldi’s expedition of the Thousand. Mauro is considered among the major protagonists of the southern Risorgimento. Of his literary works we remember the poem in verse Errico, the Dante monograph Concept and form of the Divine Comedy and the work Vittorio Emanuele and Mazzini.
In front of Palazzo Mauro, the Church of Sant’Onofrio, today closed to worship and owned by the Mauro family, heirs of the Lopes.
Founded in 1737 as the ius patronatus of the Lopes, the most important noble family of S. Demetrio, it was open to the faithful throughout the 18th century.
Scattered in some parts of the country are a series of wooden sculptures with oriental ornamental motifs, the work of the Kosovar sculptor Hevzi Nuhiu.
It is also important to remember the figure of Innocenzo Mazziotti (1921-2014), teacher of Italian and Latin in the high school, principal and author of an important work on the history of San Demetrio Corone Albanian immigrations in Calabria in the 15th and colony of San Demetrio Corone (1471-1815). He was also a second lieutenant in the Royal Army and deported to the Nazi concentration camps. The administration placed a commemorative plaque on the facade of the house where he was born.
The nearby hamlet of Macchia Albanese is known above all for being the homeland of the great man of letters Girolamo De Rada (1814-1903).
An intellectual of great political commitment, he is considered the inspirer of the Albanian political and literary Risorgimento movement. With his works he contributed decisively to the formation of an identity consciousness, both among the Albanians of Italy and among the Albanians of the Balkans, also drawing political attention to this nation, and is considered the initiator of modern literature Albanian national team.
Among his works, we remember the lyric poem I Canti del Milosao, I Canti di Serafina Tophia, an important collection of Italian-Albanian popular songs: Rhapsodies of an Albanian poem and a poem that recalls the figure of ‘hero Scanderbeg, Scanderbeg the unfortunate.
In Naples, he founded the newspaper “L’ Albanese d’ Italia” in 1848, the first periodical in the Albanian language. The following year, the first chair of the Albanian language was established in the College of Sant‘Adriano, entrusted to him. The position was then revoked three years later by the Bourbon authorities, due to his liberal past.
Other important figures from Macchia were Giuseppe De Rada, son of Girolamo, author of a grammar of the Albanian language; Michele Marchianò, expert in Albanology and interpreter of De Rada’s works; Francesco Avati, humanist, university professor and first collector of the poetic heritage of the Albanians of Italy.
The parish church is dedicated to Santa Maria di Costantinopoli and preserves the remains of Girolamo De Rada and his son Michelangelo and an epigraph in the Arbëreshe language.
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SHËN MITRI: NJË UDHËTIM NDË MEST TRASHËGIMJA KULLTURALLE E BËGATË
Shën Mitri ka një fillim i vjetër: dihet se ish një llok i vogël çë kish ëmërin Situ Sancti Dimitri, ku tekë viti 955, Shën Nili ka Rozana stisi Abacin basilliane e Shën Adrianit. Manastiri basilian, me rritin greqishtë, ka qënë ndërruar pra nga një Manastir benedhetin, i dhuratur, tekë shekulli XI, nga normanat Badies e Cava dei Tirren-it.
Shqipëtarët erdhëtin ndër këto dhera me di pjesa: të parët tekë viti 1470, pra tekë viti 1534, erdhëtin shqipëtarët çë vijin nga katundi greqisht e Korones, tekë Peloponesi, për ftesa e luftës çë bëri Carlo V kundër Turkët. Mbjedhura mirë nga rregji, vunë rrënj ndër një ca lloqe e Jugut e Italisë, si Shën Mitri. Në fillim, katundin e stistin tekë ana lart, mbi kodrat e Murmurikes. Nga viti 1794, katundi ka qënë qendëra e Kolexhit arberesh i Shën Adrianit, ku mënjëhere ish Manastiri.
Qisha e Shënjtravet Adriani e Natalia ish pjesë e Manastirit e Shën Adrianit. I lerë si manastir basilian, i dashur nga Shën Nili tekë viti 955 tekë lloku ku gjëndej një tabernakul dedhikuar shënjtravët Adriano e Natalia, ish mënjëhere bënur kuadrat me tri abside. Pra u bë Manastir e tekë viti 1088 ka qënë dhenur abacies benedhetine Cava dei Tirren-ëve nga Duku normanë Ruggero Borsa, e ndërroj rritin greqishtë me rritin lëtirë, tue ndërruar pjesa arkitekturës me stillin roman. Ruggero Borsa, ndhutu ai, tekë viti 1106 dha prapt Manastirin Basilianëvet. Ki qe i stisur të ri tekë e dita gjisëmja e shekullit XII e tekë e para gjisëmja e shekullit XIII. Ndërroj shumë herë ndër slekulët, të lurtëmja tekë vitet ‘700, kur shtunë poshtë absidin i vjetër, ngjatin qishen, bënë tri autare tekë vendi e autarit greqisht me ikonostasin e një gubull baroke.
Qisha ka nunga më stille: art bizantin, normann e barok; shumë janë ellëmendet çë e zbukurojin, një ca janë simbole çë nëng kapiren, për të cilit janë një ca ipothezë spjegimi. Është e bënur me tri navata, të mbuluar druri, ndajtura ka gjashtë pillastra çë mbanjen arkatat, mbi cilëvet gjënden piktura e shekullit XII e XIII, ç’i gjëjtin tekë vitrat ‘900 kur e restaurartin, pse ishin të mbuluar tekë vitët ‘700 nga një copë gëlqere.
Stili i pikturavet është tipik bizantinë. Poshtë arkëvet gjëmi figura shënjtëra, peshkopëve, monakëra e Qishës Krishtere Lindjellore, çë nëng kanë ëmra, vetim një ca mënd njohen për një ca ellëmende tipike. Mbi murëvet përsiper arkavët gjënden të tjerët shënjtëra, tri shënjtëra fëmëra çë kanë ëmërin Iulitta, Anastasia e Irene e Paraqitja e Shën Mëris Tempëlit, e vetëmja çë qindroj me rrëfime.
Ka anat e telles e madhë çë gjëndet tekë autari më i madhi, çë burton martirizimin e Shën Adrianit, janë di buste druri e vitit 1600 e Shën Adrianit e Shën Natalies.
Tekë autari tekë ana e majta është një piktur e Shën Mëris me Djalën me Shën Nili e Shën Viti, ndërsa tekë ana e djathta është burtuar Shën Vasili Manji (i madhi). Pjeset e autarit janë e vitravët ‘700 e qënë bënur me stukë jisi.
Ndër operat artje me më shumë domethëna, çë gjënden mbrënda kësaj qish, mbatanë pikturat, është edhe trualli, i bënur tekë një pjesë në opus sectile (një teknik artistik çë vë afër copa të vogëla marmuri o guri, të prerë mirë e çë kanë shumë dukje e kullure), me kater mozaikra e shekullit XII-XIII. Mozaikrat burtonjën një lliun e një gjalpër çë zëhen për një animallë, një gjalpër çë ngatarrehet te tri llunaze, e lurtëmia çë bën tri nënjthra, një fellin e një gjalpër cili bën një tetë.
Të vënur te fundi e navatat janë di rara kollona druri e shekullit XII-XIII ndër ata më shumë antikë e Kallabries, çë kisht mbajin ikonostazin e vjëtër. Janë edhe di kapitjel, një ndër cilët është me stillin bizantin, jetëri me still korinc. Poshtë arkatës, tekë ana e majte, gjëndet ajo çë qindroj e skulltures çë kisht ishin ato e portallit të vjetër, ndër cilët ajo çë mbanij ujit të bekuar e një skullture dalur jashtë cila burton një animall, çë nëng kuptohet, nga cili del ka grika një dorë çë shtrëngon fort unaza.
Dera e parë qe mbullitur tekë viti 1856 e qindruan di dera për nga anë, njera poshtë kambanillit e jetëra, Dera e Monakëvet, pse e përdorëjin monakët për të hijin te qisha.
Të kërkosur janë di maskare guri ndër anat e Derës e Monakëvet: një dukje si një kështerë e njetër si një maçe, nga cilat dalën rëmba ka grikat, e mënd jetë se këta ishin simbollë shpirtëror e natures çë rilindjon. Mbi këtire është një shkronjë greqishtë çë thot “Hir te Bekimi, tue ecur dreq gjën Drejtin”. Një fëtim, nunga, sa të lehen jashtë tekë vendi i bekuar kujesët e dheut.
Afër Qishës gjëndet Kroj e Monakëvet e Vitravet 600, çë ish përduar nga monakët. Tekë ki vend, nata e Pashkëvet, behet riti e “vjedhëmi ujët”, ndër cili vehët ka kroj e “vjedhët ujët” tue mbetur qetë për gjithë udhën, ndërsa ata çë prirëçin bëjën sa më kishin sa të binë e çajin besin e qetësis. Ki është një ritë e shkimit nga jeta e vjetër te jeta e re, pë të cilin foli shumë Profesuri Francesco Altimari tekë opera e tij Ujë pa folur, Ujë e re, Ujë e vjedhur”: për një ca rite e Pashkëvet Arbëri e tekë area mesdhetar.
Manastiri e nxuartën tekë viti 1794 për dashurin e rregjit Ferdinandi IV e Borbonit e Qisha muar pjesë e Kolexhit Arbëresh, qender shpirtëror e kullturore të gjithë Kalabries, çë muari githë shërbiset e Manastirit.
Kolexhi Korsini gjëndej mënjëhere te katundi i Shën Benedhitit për dashurin e Papit Klemente XII, tekë viti 1732, e për dashurin e vëllezëravet Rodotà, sa të mësohëshin Zotërat e ritit greqisht. Tekë viti 1794 Kolexhi qe qellur tekë katundi i Shën Mitrit mbi dashurin e Peshkopjit Francesco Bugliari. Çë nani e me përpara, Kolexhi buari pak pak dokja të sajë e lidhurë mësimit derimtar, për të hapej edhe mësimëvet literare.
Te ki vend kullturore u bën rëndsishëm politikra e literatëra e jetës arbëreshe e gjithës Kalabries, ndër cilit Agesilao Milano, Domenico Mauro, Girolamo De Rada, Costantino Mortati e shumë tjera. Kolexhi ka qënë një vend me shumë rëndsishëm për shprishja e idheave kombëtar e të ndërruar, aq se Ferdinandi II tha se Kolexhi ish “një fole neprëmte” e “furri i Djallit”.
Garibaldi burtoj mirënjohesin arbëreshëvet çë kishin marr pjesë Njësis e Italisë, tue dhënur 12.000 dukata Kolexhit Shën Drianit, si deshmon një shkruatje e bashkies ndër fillimet e Nëndëqind, tekë ana e jugut e Kolexhit. Tekë viti 1923 Kolexhi ka qënë mënjëhere vënur posthtë dhifiza e Ministerit e Publika Istruciones, pra shkollat u bën shtetërore e i nxuartin ka Kolexhi çë ka qënë konvikt njerim vitit 1979, kur nëng ish më lipisia sa të mbjedhjin nxënës e Liçeut (dashur nga Gioacchino Murat tekë viti 1812) çë rrijin jashtë katundit.
Qisha e Shën Mitrit është ajo e Shën Mitrit Megamartir, e shekullit XV, kur erdhëtin të parët arbëreshët. Pra, tekë shekulli XVIII, patë ndërrojinë hapënja (e bën më të madhe).
Qisha ka tri navata, zbukuruar nga një ca ikona bënur nga Rita Chiurco e Anna Molinaro, ndërsa muret burtonjen piktura e shëjntëravet e Qishës bizantine me copa e Testamentit i Ri.
Është një ndër të parat qisha arbereshë çë ka ikonostazin e autarin kuadrat, tipik greqishte. Di kapeljet e navatës tekë ana e djathta bëjn pjesë e Qishës e vjetër, janë përkëtë pjesa më e vjetër e Qishës.
Tekë Kapelja e Shën Mitrit gjëmi autarin marmuri tipik lëtirë. Tekë tondet shihen mërakullet bënur ka Shënjti ku gratë burtuar janë veshura me stolit arbëreshë. Tekë dera e kapeljes janë ikonat çë ishin ato e ikonostazit e vjetër. Tekë Kapelja e Mëris Makulatës autari është zbukuruar me tekniken e skalioles fiurentine, me stukë e xhis, e gjëndet edhe një statue e Makulatës e shkollës napullitane.
Tekë Qaca Strigari, e njohur edhe si Qaca e Kuqe, është Pëllaci Mauro, shëpia ku u le patrioti i madh e Rilindjes, lliterat e gazetar Domenico Mauro (1812-1873), çë ka qënë edhe deputat tekë Parlamendi e Italisë. Këtu gjëndet “Qendra Mësimit Rilindjare Domenico Mauro”, çë mban edhe një bibliotheke e arkivin Mauro. Bashkë me të vëllaun Raffaele, muari pjesë tekë Nisja e Millëve e Garibaldit. Mauro është kujtuar si një ndër ata protagonista më të madhra e Rilindjes e Jugut e Italisë. Ndër operat të tij kujtomi l’Errico, Concetto e forma della Divina Commedia edhe Vittorio Emanuele e Mazzini.
Përpara Pëllacit Mauro është Qisha e Shën Onofrit, sot mbullitur, par ish e fëmilës Mauro, trashgimtarat e Lopez-ëve. Bënur tekë viti 1737 si ius patronatus e Lopez-ëvet, fëmile bulare me më shumë rëndësi e Shën Mitrit, ka qënë hapur besimtarëvet për gjith shekullin XVIII.
Te një ca lloqe e katundit, një çik këtu e këtje, gjënden disa skultura druri, me copa zbukuruara tipike lindjellora, bënura nga artisti kosovar Hevzi Nuhiu.
Është të rëndsishëm edhe Innocenzo Mazziotti (1921-2014), mjeshtër e gjuhes italishte e lëtire tekë Liçeo Xhinasi e katundit, Drejtor e autor e një operë me shumë rëndesi mbi stories e Shën Mitrit: “Immigrazioni albanesi in Calabria nel XV e la colonia di San Demetrio Corone (1471-1815)”. Ka qënë edhe mbrenda ushtërisë e i qellur ndër lagërat nazista. Tekë faqa shëpis ku u le, bashkia vu një gur çë e kujdeson.
Pjesa e katundit atje afër, Makji, është i njohur mbi gjithsej për të jetë shpia e literatit i madh Girolamo de Rada (1814-1903). Mendëshëm e politik, është kujtuar si frimëzonjës e Rilindjes politike e literare shqipëtare.
Me operat e tij patë një pjesë e madhe tekë formacjona e nji dimje identitare, do ndër arbëreshët e Italisë se ndër shqipëtarët e Ballkanavet, i kujtuar edhe Shqipëri. Është kujtuar si ai çë zu lliteraturen kombëtar shqipëtare e sotme. Ndër operat mbami mend Këngët e Milosaos, Këngët e Serafina Topisë, një mbjedhje e këngavet popullore arbëreshë me shumë rëndesi: Rapsodi të një poeme shqipëtare e një poemë çë kujton Skanderbegun, Skanderbeg i pafan.
Napul bëri tekë viti 1848 një ditare “Shqipëtari i Italisë”, e pare ditareja në gjuhe shqipe/arbëreshe. Nese një vjeç ka qënë bën e para katedër e gjuhes shqipe tekë Kolexhi e Shën Drianit, atij ka qënë për tri vjet njerim kur Borbonërat ja nxuartin për fëtesin e idheallet të tijë.
Njetër ca kështer me rendesi e Makjit kanë qënur Giuseppe De Rada, i biri i Xhirolamit, autori e një gramatike e gjuhes shqip; Michele Marchianò, kultor e shpjegimtar e operavet e De Radës; Francesco Avati, mjeshtër e Universitetit e i pari mbledhuriu e pasuris vjersharë e Arbëreshëvet.
Qisha me më shumë rëndesi është e emëruar Shën Mëris e Kostandinopolit e vjon aton çë qindron e Girolamo de Rad-es e të birit Michelangelo, e një të shkruajtur arbërisht.